martedì 24 aprile 2012

David Foster Wallace: "Infinite Jest"





That's fucking tough, direbbero in America se dei temerari dovessero cimentarsi per la prima volta a recensire un romanzo del genere: Infinite Jest, lo "scherzo infinito". Un libro che trasuda dolore, malessere, dipendenza, ironia venata di tristezza. Una sorta di contemplazione dell'infinitamente assurdo che permea la nostra vita.
David Foster Wallace, autore compianto, morto suicida nel 2008, ci ha donato sedici anni fa un'opera che dà ancora da pensare. Oltre mille pagine più duecento di note (fittizie o reali) e cut scenes dalla storia.
Un lavoro edotto, ciclopico affrontato con una capacità lessicale credo senza pari. Considerato da molti come caposaldo della letteratura avantpop, affrontare un testo del genere richiede fegato e pazienza.
Parlarvi della storia è insensato, troppo complessa, generazionale, dislocata in troppi spazi e tempi diversi. Labirintico, condito di dettagli e sottotrame da esplorare, Wallace ci prende per mano conducendoci nel cuore di un'America futuristica (tanto presente quanto lontana nel tempo) e sofferente. Droghe, affetti, malattie, disagi esistenziali, legami (d'amicizia o di sangue), sport, cultura, economia. Come correre ai ripari per una società umana fondata sulla Dipendenza? E se la dipendenza è un Disagio, anche la vita lo è a sua volta?
Wallace non dà risposte.
Tuttavia pone, attraverso una narrazione sublime, le domande giuste. Egli mostra, senza dire.
Vi lascio con un interrogativo e una citazione.
Cosa accadrebbe se un genio del cinema indipendente creasse l'opera cinematografica definitiva, capace di incollarti allo schermo fino ad ucciderti di piacere estetico?
Infine, per rendervi conto di cosa stiamo parlando, ecco un assaggio dell'incipit narrato da Hal Incandenza, uno dei protagonisti del romanzo:

"Siedo in ufficio, circondato da teste e corpi. La mia postura segue consciamente la forma della sedia. Sono in una stanza fredda nel reparto Amministrazione dell'Università, dei Remington sono appesi alle pareti rivestite di legno, i doppi vetri ci proteggono dal caldo novembrino e ci isolano dai rumori Amministrativi che vengono dall'area reception, dove poco fa siamo stati accolti lo zio Charles, il Sig. deLint e io.
Sono qui dentro."

[David Foster Wallace, Infinite Jest, Einaudi, Stile Libero, 1996, p. 4 , 27,00 euro]

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